La Cosa Brutta sotto il Letto

Recentemente ho partecipato ad un concorso di racconti horror. Nello sforzo di esplorare un campo più o meno per me nuovo, ho prodotto diversi racconti, questo è uno di quelli.
Il nome è chiaramente ispirato alla Cosa Brutta di David Foster Wallace.
Qui però il pianeta Trillafon non viene in aiuto del protagonista…

L’estate in cui la mia vita cambiò, la vita di tutti noi cambiò, avevo da poco compiuto dieci anni.
Campassi mille anni, non dimenticherò mai quei giorni, minuto per minuto, e ancora adesso, a distanza di più di quaranta anni, se chiudo gli occhi posso riviverli come fosse ora; ma non lo faccio mai, non li chiudo mai gli occhi, e non penso mai a quei giorni. O almeno ci provo.
Tranne adesso, che ho deciso di scrivere quei fatti, nella speranza che le parole scritte catturino i pensieri, e abbandonino per sempre la mia testa.
Se fossi veramente sincero, direi che quegli avvenimenti mi hanno permesso di diventare quello che sono, di trasformare un goffo, insicuro bambino in un adulto consapevole, maturo, con mille contraddizioni ma con la forza tutto sommato di andare avanti.
Ma darei tutto quello che sono ora, per far tornare indietro Billy, e per non dover guardare tutte le sere sotto il mio letto, per essere sicuro che quella Cosa Brutta non sia tornata.

Quando sono nato – un classico errore di programmazione come scoprii ben presto – mio fratello William Jones Jr. detto Billy andava già alle elementari.
Quando io festeggiai il mio decimo compleanno, l’ultimo insieme a Billy, lui era un ragazzo di diciotto anni che stava per diventare uomo.
Aveva già avuto due o tre ragazze, e io non avevo neanche il coraggio di rivolgere la parola alle mie compagne di classe.
Io e Billy eravamo l’opposto, il sole e la luna, lo yin e lo yang, l’inverno e l’estate, e tutto a favore suo ovviamente.
Lui era alto, muscoloso, atletico, eccelleva in tutti gli sport; io ero bassino, rotondetto, e mi facevo male in continuazione.
Billy era simpatico, allegro, sempre sorridente, io introverso, lunatico, un po’ balbettante.
Billy andava bene a scuola senza fatica, io sudavo sui libri.
Billy era l’idolo dei miei genitori, ah, ma che dico, Billy era l’idolo di tutti; e io ero il fratellino imbranato di Billy.
Ma se pensate che io lo odiassi o lo invidiassi, vi sbagliate di grosso.
Io amavo mio fratello, lui era anche il mio idolo, e ancora oggi, quando sono in difficoltà, mi rivolgo a lui come facevo la notte, andando di nascosto nella sua cameretta.
Lo trovavo invariabilmente sveglio, in mutande, le mani dietro la testa a fissare il soffitto e a fare piani per il futuro che condivideva con me: andremo in Alaska a cercare l’oro, oppure ad allevare canguri in Australia, mi diceva, tu verrai con me, e insieme conquisteremo il mondo.
Ecco. Il mio brutto vizio di scrivere sulla carta. Ho buttato giù la prima stesura di tutti i miei romanzi in questo modo, e ora non posso evitare che le lacrime mi cadano a spandere l’inchiostro; è sempre così, quando penso a Billy e ai suoi progetti.
Aveva cento vite dentro, non ne ha vissuta neanche una.

Billy era un giovane uomo senza difetti. Chissà, forse crescendo avrebbe fatto qualche cazzata, magari sarebbe entrato e uscito da una clinica per alcolisti come ho fatto io, oppure mi avrebbe battuto nel numero delle mogli.
Ma il Billy che è passato così fugacemente su questa terra era un essere perfetto.
Tranne per due cose, che in ultima analisi gli costarono la vita.
Billy era superstizioso e incosciente.
Lo so che le due cose possono sembrare in contraddizione, ma era proprio così, e se della seconda cosa non ne era in fondo consapevole, aveva risolto la prima alla sua maniera, affrontando la superstizione e trovando un rimedio imbattibile. Alla Billy, insomma.
Prima che io nascessi, quando Billy era un bimbo, i miei genitori lo portarono in Arizona, a vedere il Grand Canyon. Per un ragazzino dell’Arkansas era come andare sulla luna.
La sera andarono a visitare un villaggio indiano, e fu lì che Billy costruì il suo antidoto alla superstizione.
Mentre papà e mamma seguivano uno spettacolo di danze intorno al fuoco, organizzato appositamente per i turisti, Billy sgattaiolò via e cominciò a girare per il villaggio da solo.
Arrivò fino ad un specie di bungalow, dove un vecchio dall’apparente età di mille anni sedeva immobile.
– Che fai? – gli chiese sfacciato il piccolo Billy.
Il vecchio lo guardò, gli occhi così stretti che si faticava a pensare li avesse aperti.
Rimase in silenzio per un po’, poi gli disse:
– Ti aspettavo, ragazzino. Sapevo saresti venuto, era solo questione di tempo. Sono contento che tu sia qui, non potevo aspettare oltre, i miei giorni su questa terra sono finiti. Ma prima di andarmene, c’è una cosa che ti devo dare. Questa bambola, tieni, la conservo per te da molti e molti anni, e prima di me mio padre e il padre di mio padre. Tienila sempre con te. Sempre. –
Forse fu una delle poche volte nella sua breve vita in cui Billy rimase senza parole.
Almeno così mi disse quando me lo raccontò.
Non fece in tempo a fare domande al vecchio, perché i nostri genitori, accortisi della sua mancanza, lo stavano cercando in tutto il villaggio, e quando lo trovarono lo trascinarono via, insieme alla sua bambola.
Da allora Billy non si separò mai dalla bambola indiana, mai.
La portava a scuola, alle partite di football, alle vacanze al lago, sempre.
E più passavano gli anni, e più si convinceva che quella bambola lo proteggesse, e la sua naturale propensione ad essere spericolato crebbe a dismisura.
Fino al giorno della gara di motocross.
Billy volle che tutti noi fossimo presenti, era sicuro di vincere, e voleva che la sua famiglia vedesse il suo trionfo.
Prima della gara venne da me, nella sua splendida tuta di pelle, decorata con i colori della bandiera americana, e mi chiese:
– Hai preso la bambola Tommy? –
Io rimasi di stucco. Ora ricordavo, mi aveva chiesto di prendere la bambola e di portargliela al percorso, e io me ne ero dimenticato.
Farfugliai qualcosa, ma Billy era generoso.
Mi fece una carezza, poi mi diede un cazzotto su un braccio, e mi disse:
– La pagherai cara per questo, Tommy, non ti farò toccare i canguri per un mese, quando saremo in Australia –
Mi salutò con la mano sul traguardo, io contraccambiai timidamente; non gli avrei parlato mai più, non lo avrei più salutato con la mano, non avremmo mai allevato canguri in Australia.
Al terzo giro la moto di Billy prese un dosso troppo velocemente, e invece di librarsi in aria si ribaltò, e ricadde di schianto a testa in giù.
Di quel momento ricordo solo mia madre che corre urlando verso la pista, mio padre immobile come una statua di sale, le ruote della moto che continuavano stupidamente a girare, e Billy che se ne andava via per sempre.

Penso che se non fosse stato per me, vorrei dire “grazie a me” ma penso più che altro “per colpa mia”, i miei genitori si sarebbero suicidati,
La morte di Billy segnò anche la fine della loro esistenza.
Ah certo, continuarono a camminare, ad alzarsi tutte le mattine, a seguire questo loro figlio di serie B, ma dentro, dentro erano morti insieme a Billy.
E non fecero nulla per nascondermelo.
Poveri disgraziati. Non potevano fare altrimenti.
Io pensavo che una vita peggiore non avrei potuto averla, senza Billy, senza l’amore dei miei genitori, senza niente.
Beh, mi sbagliavo. Non avevo considerato la Cosa Brutta Sotto il Letto.

La prima volta che la sentii, pensai di averla sognata.
Stavo effettivamente dormendo, ma un attimo dopo ero sveglissimo. Il mio cervello aveva attivato tutti gli allarmi codificati da milioni di anni nel nostro DNA, e mi sentivo come penso si sentisse l’uomo delle caverne quando percepiva la presenza dei lupi.
Il rumore era impercettibile, un fruscio leggero, che durò pochi secondi; poi, silenzio.
A quell’epoca non esistevano le sveglie fluorescenti che proiettavano l’ora sul soffitto; per sapere che ora fosse avrei dovuto accendere la luce e guardare il mio orologio da polso – un regalo di Billy per il mio decimo compleanno – ma non osavo muovermi.
La casa era immersa nel silenzio più assoluto, non sentivo neanche mio padre che russava, e non c’era vento a muovere le foglie degli alberi davanti alla mia finestra.
Rimasi con gli occhi chiusi e le orecchie ben aperte, ma il rumore non si ripeté.
Stavo per riaddormentarmi, convinto che fosse stato solo un sogno, quando sentii, pianissimo ma distintamente, un solo, profondo grugnito, provenire da sotto il mio letto.
Non avevamo animali in casa, mia madre non li tollerava, e neanche il fascino di Billy era riuscita a convincerla; per cui non potevo aver sentito il rumore di un cane, o di un altra bestia.
Certo, nella zona rurale in cui abitavamo non era infrequente imbattersi in animali selvatici di tutti i tipi, e anche in serpenti.
Pensai che qualche animale si fosse introdotto in casa e che ora fosse sotto al letto.
Non sapevo che fare, poi alla fine mi feci coraggio e chiamai:
– Papà! Papà! PAPA’ – prima piano, poi sempre più forte, finché mio padre si presentò assonnato, e accese la luce.
– Che cosa c’è Tommy? – chiese sgarbato.
– Credo che un animale si sia infilato sotto il mio letto – dissi piagnucolando.
Mio padre mi guardò con due occhi di fuoco.
Sapevo cosa gli passava per la mente. Pensava: perché signore hai preso Billy, e mi hai lasciato questa femminuccia, perché?
E aveva ragione, sapete? Lo pensavo anche io, e l’ho pensato spesso, in questi anni.
Ma in quel momento avevo paura, e mio padre era l’unica persona a cui potevo chiedere aiuto.
Alla fine si inginocchiò, guardò dappertutto, poi concluse:
– Qua non c’è niente, Tommy, torna a dormire –
Fece per andarsene, ma io quasi gridai:
– Posso venire a dormire con voi? –
Dovete capire che mio padre era un rude imprenditore agricolo dell’Arkansas, e dalle nostre parti i bambini non dormono in mezzo ai genitori; ma era anche una situazione particolare, e così quella notte dormii come un sasso abbracciato a mia madre.

Il sole del mattino spazzò via le mie paure, e a colazione ero stranamente allegro.
Non così mio padre, che un po’ per l’alzataccia notturna, un po’ per quello che stavamo ancora passando, era di umore nero.
– Ho deciso di gettare via tutta la roba di Billy – disse senza preavviso.
Mi madre fece cadere una tazza di ceramica che si frantumò sul pavimento di pietra della cucina, prima di portarsi le mani alla bocca.
Io gridai:
– No! –
– Ormai ho deciso – disse mio padre – nei prossimi giorni raccoglieremo tutto e lo porterò via. Non voglio che questa casa diventi un museo. Tu – disse puntandomi il dito – mi aiuterai, e in cambio potrai tenerti una o due cose di Billy. Ma il resto voglio che sparisca prima della fine della settimana –
E così dicendo, si alzò e uscì di casa.
Io e mia madre ci abbracciammo e piangemmo per un po’. Il mio buonumore era scomparso.

Era il periodo delle vacanze estive, quindi avevo le giornate libere. Bighellonai un po’, andai a giocare a pallone, portai i giornali a un paio di anziani che non camminavano bene, e in qualche modo la giornata passò; infine cenai, guardai un po’ di televisione, poi andai a letto.
A casa mia si seguivano i ritmi dei campi, si andava a letto al tramonto e ci si svegliava all’alba.
Il sabato era dedicato allo sport, al barbecue, alle gite in bici, e la domenica si andava a messa.
Avrei dovuto aspettare di avere l’età di Billy, per fare qualcosa di più interessante.
Già. L’età di Billy, quella che avrebbe avuto per sempre.

Quando spensi la luce, mi addormentai subito, e non pensai a quello che era successo la notte prima.
Ma di nuovo, mi svegliai in preda al panico, e alla sensazione di non essere solo.
Il fruscio era cresciuto di intensità, si era fatto regolare, ora sembrava…un respiro.
Avevo tutti i peli del corpo ritti, e stavo pensando se lasciare andare la vescica, quando la voce mi parlò.
Era bassa, roca, e gutturale, ma la capivo benissimo.
– Non ci saranno sempre i tuoi genitori, a salvarti, prima o poi dormiranno troppo profondamente, e allora io e te faremo un bel discorsetto –
La vescica non tenne, e urinai nel letto, poi urlai a squarciagola:
– Mammaaaaaa! –
I miei genitori accorsero, e mi trovarono stravolto, le lacrime agli occhi, il letto bagnato, tremavo di paura e non riuscivo a parlare.
Mia madre mi abbracciò, e fece cenno a mio padre di stare zitto.
Passammo qualche minuto così, poi ancora una volta, dopo essermi cambiato, andai a dormire con i miei genitori.

La mattina dopo rimasi solo con mia madre, mio padre era dovuto uscire presto per non so che tipo di affari, non senza prima ricordarci che oggi avrebbe cominciato a raccogliere tutto dalla stanza di Billy.
In questo clima generale di tristezza, io e mia madre ci facemmo compagnia bevendo tè freddo e giocando a backgammon.
Mia madre mi aveva insegnato un sacco di giochi strani per un bambino della mia età: scacchi, canasta, texas hold ‘em, reminiscenze di un passato in cui forse non era solo stata la moglie di un agricoltore.
Fu durante quella mano a backgammon, che mi feci coraggio e le parlai.
– C’è qualcosa sotto il letto – dissi cercando di mantenere il tono della mia voce neutro, senza far trasparire la paura che mi attanagliava.
– Che tipo di cosa? – chiese lei senza alzare gli occhi dalla scacchiera.
– Una cosa brutta. Una bestia, penso. –
Finalmente mi guardò, senza dire nulla per qualche secondo; stava soppesando l’informazione, confrontandola con il giudizio che aveva di me. Anche per mia madre Billy era Billy e io…beh, io ero io.
Ma evidentemente ai suoi occhi ero più degno di fiducia di quanto pensassi, perché mi fece una carezza, e mi chiese:
– Vuoi che andiamo a controllare insieme? –
Annuii senza parlare. Mi sentivo sciocco, ma non potevo fare a meno di avere paura, e se il prezzo da pagare per la mia tranquillità era il sembrare sciocco, beh non mi sembrava poi così alto.
E non lo sembrò per oltre quaranta anni, a dire il vero, mentre mi facevo prendere in giro da tutte le donne, mogli, amici, compagni di bevute, che avevano avuto il piacere o il dispiacere di dividere un letto con me.
Entrammo in camera mia, mia madre si chinò, ma come era ovvio non trovò nulla.
Devo dire che in quel momento capii perché le volevo così bene, quasi quanto a Billy: non si limitò ad un’occhiatina fugace, ma spostò il letto, osservò ogni angolo con attenzione, perlustrò l’armadio e svuotò la scatola dei giochi.
Si spinse fino a controllare se ci fossero tracce sotto la mia finestra, ma non trovò nulla.
– Qui non c’è niente, tesoro, meglio così. Comunque senti che facciamo: se stanotte sentirai di nuovo qualche rumore, chiamami, e io verrò di corsa a dormire con te –
Mi strinse in un abbraccio caldo, così caldo, che mi convinse a seguire il suo consiglio.
Forse questo fu ciò che la uccise, forse non sarebbe andata altrimenti, ma il senso di colpa per la morte di Billy era solo l’antipasto. Ho pagato per anni fior di psichiatri, per farmi dire quello che sapevo già, che mio fratello e mia madre erano morti per colpa mia, ma ho sperato che qualcuno mi convincesse del contrario per tutto questo tempo.

Rinfrancato, accompagnai mia madre nella stanza di Billy; non ci ero più voluto entrare, da quel giorno, e speravo di non piangere, ma non ce la feci.
E piangendo presi solo una cosa: la bambola indiana che avevo stupidamente dimenticato quel giorno.
“Non la lascerò mai più Billy, te lo giuro”
Ma ovviamente non rispettai la promessa. In fondo, ero solo un bambino di dieci anni, che può benissimo credere che esiste una Cosa Brutta sotto al letto, ma non riesce a ricordare una promessa dieci minuti dopo averla formulata.
Infatti quando verso le ore di pranzo fui pronto per andare a giocare al lago con i compagni di classe – la scuola non sarebbe ricominciata prima di due mesi, ma nessuno di noi aveva i soldi per andare in vacanza da qualche altra parte che non fosse il lago a un chilometro da casa – quando fui pronto, dicevo, dimenticai la bambola in camera di Billy.
Per fortuna mio padre tornò troppo tardi per iniziare a raccogliere la roba di Billy, la sua partita settimanale di bowling lo aspettava, e decise di rimandare il tutto al fine settimana.
A quanto pare la sua squadra di bowling non poteva fare a meno di lui, anche se ormai riusciva a segnare più birre che punti, sul suo score.

Quando fu il momento di andare a letto, mia madre mi diede un bacio, mi strinse forte, e mi sussurrò in un orecchio:
– Ti voglio tanto bene, Tommy. –
Nei giorni più difficili di questa mia vita, le parole di mia madre sono l’unica medicina che mi permette di andare avanti.
Riesco a richiamarle alla mente a piacimento, sentirle e risentirle, come fossero registrate, e usarle per scaldarmi un po’, quando il freddo mi prende da dentro.
Mia madre spense la luce, e mi lasciò solo.
Non riuscivo a dormire, trattenevo il respiro, aspettando il momento in cui la Cosa si sarebbe fatta sentire. Ne ero sicuro.
Ma per quanto fossi silenzioso, e tendessi le orecchi al minimo rumore, non sentii niente.
Rimasi in questo stato di attesa per un’ora forse, non saprei dirlo, poi la stanchezza, la tensione e i miei dieci anni si fecero sentire, e le palpebre cominciarono ad abbassarsi sempre di più.
Mi girai su un fianco, e dopo un ultimo tentativo di percepire qualche suono, lasciai che il sonno mi avvolgesse.
Fu in quel momento, quando ormai le forze mi stavano abbandonando e mi ero completamente rilassato, che una massa informe ma poderosa si abbatté sulla mia gola, e iniziò a stringere, impedendomi di respirare.
Con gli occhi quasi fuori dalle orbite dal terrore, e con i polmoni in fiamme per il tentativo di respirare, riuscii solo a intuire nel buio che si trattava di un unico, enorme braccio, un tentacolo che usciva da sotto al letto, e che si trascinava una specie di corpo rotondo, senza altre apparenti estremità.
Non riuscivo a parlare, a muovermi, a respirare. Stavo morendo, e ne ero consapevole, e mi pisciai addosso.
La Cosa Brutta Sotto il Letto mi parlò proprio in quel momento.
– Ti avevo detto che prima o poi ti avrei preso. Non sono riuscito ad avvicinarmi a tuo fratello, ma tu sei un bersaglio più facile. I tuoi genitori non ti curano, non hai protezioni, e quel maledetto indiano avrà ormai tirato le cuoia. –
Dalla mia bocca non usciva un suono, solo un debolissimo lamento, e quando pensavo che avrei raggiunto presto Billy, mia madre entrò nella stanza urlando come un’ossessa.
Non sono sicuro di ricordare che abbia pronunciato qualche parola sensata, il mio ricordo di mia madre in quel frangente è solo di una furia che combatte con le unghie e con i denti.
La Cosa Brutta Sotto il Letto fu sorpresa, o forse stupita, in ogni caso dovette distogliere il suo tentacolo per respingere mia madre, e io riuscii finalmente a respirare.
Sentivo le urla di mia madre, i contorcimenti di quella Cosa, e non sapevo che fare.
Fu l’istinto a guidarmi, più che il ragionamento; corsi in camera di mio fratello e presi la bambola, la afferrai con entrambe le mani e tornai di corsa nella mia stanza urlando, con la bambola tenuta di fronte a me con le braccia tese.
La Cosa Brutta sotto il Letto vide la bambola – non saprei dire se con gli occhi, se ne aveva, con la mente, o che – lasciò mia madre e cominciò a tremare, poi a rimbalzare contro le pareti, come un palloncino che si sta sgonfiando, e infine esplose polverizzandosi nell’aria.
Io caddi in ginocchio, piangendo, abbracciato a mia madre, e rimasi così per un tempo infinito.

Infarto, sentenziò il medico; crepacuore, obiettò mio padre, pensando a Billy.
Io non dissi nulla, era inutile.
Non piansi, partecipai al funerale in silenzio, e vidi mia madre che veniva seppellita vicino a mio fratello, la bambola indiana stretta nelle mie braccia.
Mio padre vendette tutto: la casa, la tenuta, tutto, e andammo a vivere nel New Jersey, dove lui trovò un lavoro, si risposò, fece altri due figli con una donna che non ho mai sopportato, e alla fine morì, senza quasi avermi più rivolto la parola.
Io quando ebbi l’età di Billy, l’età che ha sempre avuto e che avrà per sempre cioè, andai via di casa, frequentai il college, poi l’università.
Ho scritto dieci romanzi, diversi articoli, sposato tre donne, non ho avuto figli.
Oggi vivo solo, perché nessuno può dividere la vita con me troppo a lungo.
Se non altro, non devo spiegare a nessuno perché la sera, a cinquanta anni suonati, vado a dormire abbracciato ad una bambola indiana, non senza aver prima dato un’occhiata sotto il letto.

cosa brutta sotto il letto

6 pensieri su “La Cosa Brutta sotto il Letto

  1. . “Nei giorni più difficili di questa mia vita, le parole di mia madre sono l’unica medicina che mi permette di andare avanti.Riesco a richiamarle alla mente a piacimento, sentirle e risentirle, come fossero registrate, e usarle per scaldarmi un po’, quando il freddo mi prende da dentro.
    Mia madre spense la luce, e mi lasciò solo.” Questa frase mi ha fatto commuovere . I tuoi racconti sono come un viaggio mentale di sensazioni non del tutto sconosciute. E questo è stato un viaggio fantastico! Complimenti! Belle sensazioni. Grazie per questi racconti meravigliosi che ci fai leggere. P:S. Mi piacerebbe tantissimo leggerti anche su un foglio di carta nel futuro.

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