Destino

Chi non ha un grande amore perduto nella sua vita?
Un racconto per farvelo ricordare.

Separatore

In qualche modo me lo sentivo.
Non so dire perché, ma così come avevo evitato la stazione di Padova per cinque anni avrei dovuto farlo ancora a lungo.
In quei cinque anni avevo fatto di tutto per stare lontano da te, preso aerei per destinazioni improbabili, noleggiato auto nel cuore della notte, dormito in hotel distanti centinaia di chilometri.
Poi mi dicono: vai a Venezia al posto del collega, abbiamo già fatto i biglietti, parti domattina.
Si può rimanere insonni solo perché un treno passerà a meno di due chilometri da te?
Sì. Si puó.
E mentre mi avviavo a salire sul mio vagone mi dicevo che per quel che ne sapevo io tu potevi aver cambiato città, o in quel momento trovarti in Australia per lavoro; che le probabilità di incontrarti erano zero e che solo un malato di mente come me poteva stare male per una cosa del genere.
Fino a Bologna il mio viaggio fu tranquillo, solo un leggero malessere generale segnalava la mia inquietudine, ma niente che non potessi tenere a bada con un leggero tranquillante.
A Reggio Emilia cominciai a sudare. Sapevo che era sciocco, che stare male per una persona che non vedevo da anni e che non avrei probabilmente più rivisto non aveva senso, ma non potevo controllarmi.
Decisi di provare a dormire e chiusi gli occhi, ed effettivamente mi appisolai per un po’.
Molto poco però, perché non passò molto tempo prima che l’altoparlante annunciasse l’arrivo alla stazione di Padova.
Da questo punto in poi tutto si svolse al rallentatore, con una lentezza che sembrava studiata appositamente per acuire la mia pena.
Appoggiai la testa al finestrino, guardai lungo la banchina, e come nel peggiore dei miei incubi – o dei miei sogni – tu eri lì.
Avevi tagliato i capelli ed eri forse più elegante, ma sempre sorridente e in bilico su due tacchi impossibili.
Non eri sola. No.
Eri con un uomo, e con un bimbetto di pochi anni.
Se qualcuno da dentro mi avesse stretto il cuore fino a farmi morire probabilmente avrei sofferto di meno.
Silenziosamente pregai: “Signore, fa che non venga qua, fa che non mi veda.”
Certo, per uno come me che non crede in dio pregarlo solo quando serve non può essere efficace, questo lo capisco. Ma, Signore, non c’era bisogno di accanirsi su questo povero peccatore.
Quando entrasti nel vagone distolsi lo sguardo. Ero sicuro che mi avevi visto, ma speravo che anche tu riuscissi a fare finta.
Solo quando vidi che il tuo compagno controllava i biglietti e vi siedevate vicino a me capii che la mia vita ricostruita faticosamente in cinque anni stava per andare in frantumi di nuovo.
Tu davanti a me, con tuo figlio vicino. Lui accanto a me.
Ti ho guardato. Cos’era esattamente quello che ho visto nei tuoi occhi? Pietà? Astio? Rancore? Rimpianto?
Io non dissi nulla, nulla di nulla, e neanche tu.
Continuai a guardarti, e tu di rimando.
Tuo figlio si addormentò presto e lui…lui non capiva.
Ci guardava stupito, sembrava che fosse capitato in un film. Un brutto film, uno di quei film americani apocalittici in cui alla fine non si salva nessuno.
Il tragitto fino a Mestre non durò molto, ma lo passammo così, dicendoci con gli occhi quello che non eravamo riusciti a dirci in cinque anni, con le pulsazioni a mille e il sudore copioso.
Provavo pena per l’uomo che era accanto a me.
Ti aveva accanto ma non ti avrebbe avuto mai così.
E provavo pena anche per me.
Ti avevo dentro ma non vicino, e non avrei avuto mai un figlio con te.
Pietosa la stazione di Mestre arrivò improvvisa e tu ti alzasti di scatto.
Anche lui si alzò, e anche io.
Rimanemmo così tutti quanti senza dire niente per qualche secondo, poi lui prese in braccio il bambino e scese di corsa.
Tu facesti un gesto per seguirlo, poi senza preavviso ti girasti e mi desti quel bacio, quell’unico bacio, che mi porto dentro da una vita, prima di scomparire di nuovo e per sempre.
Io scesi a San Marco.
Mi veniva da vomitare.
Corsi fuori a respirare un po’ d’aria, chiusi gli occhi per un minuto e poi li riaprii.
Una bella giornata di sole, a Venezia, per morire.


Stazione

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