Le Grandi Recensioni di Rolandfan

Gli anni più belli – di Gabriele Muccino, con Pierfrancesco Favino, Claudio Santamaria, Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti

Trama del film
Un gruppo di amici di infanzia si perde e si ritrova nel corso di quaranta anni, sullo sfondo dei principali avvenimenti del Paese e con drammi personali ed esistenziali.
Detta così sembra un film serio, vero?

Giudizio della critica
Prendete la trama del film di cui sopra e incollatela su Google.
Scoprirete che di questi film ne sono stati girati circa un miliardo, di cui almeno tre o quattro da Muccino stesso.
In fondo fare un film così è facile.
Prendi tre o quattro attori simpatici e bravi, amati dal pubblico, e poi distribuisci le maschere, come a carnevale, no?!’, quando si decide “te fai Arlecchino” “te Pulcinella” te Colombina” e così via.
Qua uguale.
Tu fai il bello e sofferente, tu la mezza mignotta con una vita dolorosa che la giustifica, tu l’avvocato pieno di ideali stracciati per via dei soldi, e te il simpatico a tutti i costi con una vita di merda.
Sono pezzi di un puzzle che si incastra bene, e che non si sovrappongono, e quindi funziona tutto a meraviglia.
Poi il regista a piacimento muove le leve del sentimento, del dramma, della felicità, e pure questo funziona.
Se non bastasse, metteteci Roma: la Ramazzotti nella Fontana di Trevi come Anitona, la Fontana delle Tartarughe, la Garbatella insomma il meglio del meglio e per finire una struggente canzone di Baglioni con lo stesso titolo del film, come da tradizione.
Insomma tutto bene? Non manca niente.
Embè, sì, qualcosa se la sono dimenticata.
La sceneggiatura per esempio.
La storia.
Lo spessore, la tridimensionalità.
Una versione annacquata de “La meglio gioventù”, che fa male al cuore peggio di un bicchiere di Brunello di Montalcino diluito con la gazzosa.
Un film non brutto, girato bene, recitato decentemente anche da attori costretti a fare la parte delle maschere, ma un film inutile.
Uno di quei film che ti fa dire: pensa se c’era Ettore Scola, che capolavoro che poteva tirare fuori.

Le Grandi Recensioni di Rolandfan

La ragazza della nebbia – di Donato Carrisi, con Toni Servillo

Trama del film
In un paesino di montagna si aggira Toni Servillo nei panni di un agente di Polizia.
Toni Servillo indaga.
Toni Servillo passeggia.
Toni Servillo gira intorno ad un tavolo neanche fosse il tempietto del Bramante.
Toni Servillo ammicca.
Toni Servillo sorride.
Toni Servillo urla.
Toni Servillo servilla.

Giudizio della critica
In Italia si possono fare tre tipi di film: impegnato/drammatico, brillante, comico.
Se vuoi fare un film impegnato devi chiamare Toni Servillo, se brillante Raoul Bova, se comico Checco Zalone.
Il film impegnato lo deve girare uno che è andato a scuola da Sergio Leone, grandi spazi, primi piani stretti, lunghi silenzi, musica intrigante, basta che ci sia Toni Servillo.
Il film brillante lo deve girare uno che vorrebbe essere Monicelli, molti personaggi atipici, dialetti strani, luoghi improbabili, basta che ci sia Raul Bova.
Il film comico è indifferente, basta che ci sia Checco Zalone.
La trama del film impegnato deve essere contorta, astrusa, possibilmente inesistente, ma l’importante è che ci sia Toni Servillo.
La trama del film brillante deve prevedere un contrattempo serio, una donna apparentemente inattaccabile, un finale lieto e divertente, basta che ci sia Raul Bova.
La trama del film comico è irrilevante, basta che ci sia Checco Zalone.

In questo film c’era Toni Servillo.

Le Grandi Recensioni di Rolandfan

La Ragazza del Treno, di Tate Taylor, con Emily Blunt

Trama del film
Il caso editoriale dell’anno diventa un film. E che film! Diranno i miei piccoli lettori!
Dopo le elezioni di Trump a Presidente degli USA, e le polemiche sulle email di Clinton, la crisi della politica si è abbattuta sulla cinematografia.
Già un film su Snowden ha messo di cattivo umore i vertici della CIA, altre rivelazioni non potevano essere tollerate.
Per cui le trame dei film, soprattutto dei gialli come questi, sono state secretate per essere sicuri che non ci fossero in giro dei copycat, sapere come quando da noi esce “Natale a Pazzuoli” e due giorni dopo “Natale a Posillipo” con trame uguali uguali uguali, e a ttori diversi?
Ecco, per evitare tutto ciò, che fa molto provinciale, e per essere sicuro che il pubblico non si perda la suspance, la trama di “La ragazza del treno” era conosciuta solo da due sceneggiatori, che per sicurezza non l’hanno rivelata agli attori, ma soprattutto al regista, il quale ha brancolato nel buio per tutta la durata delle riprese, e alla fine è riuscito a completare il film senza sapere di cosa trattasse.
Questa segretezza totale si è trasferita anche al pubblico, che ovviamente non ci ha capito un cazzo della trama, ma siccome è un giallo, poi agli amici tutti dicono: “Non ti racconto nulla sennò ti perdi tutto il divertimento”.
Ecco.
Io a quelli che del film non hanno capito una mazza – perché qua non c’è niente da capire – e che poi ti tendono un trabocchetto perché “mal comune mezzo gaudio”, gli farei vedere tutta l’opera di Eisenstein in lingua originale.
Ah, dite che girava film muti? Meglio. Così s’imparano. Sti stronzi.

Giudizio della critica
Abbiamo dormito per due ore, ci siamo svegliati gli ultimi dieci minuti solo per vedere un po’ di salsa di pomodoro in giro.
Però il film finisce con un primo piano su una bella gnocca.
Se riuscite a trovare in giro solo gli ultimi trenta secondi non vi affannate a cercare il resto.


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I grandi test di Rolandfan: scopri se sei forastico

Dall’alto della nostra pluriennale esperienza nel rompere i coglioni agli esseri umani, abbiamo sviluppato un test che vi permetterà facilmente di identificare se siete veramente forastici, misantropi, insomma, rompicoglioni.
Sono poche domande a scelta multipla, in due minuti saprete cose di voi stessi che neanche quelli che vi mandano affanculo tutti i giorni immaginano.
Avanti, senza paura!

1 Entri in un bar, e una ragazzetta che potrebbe essere tua figlia, o addirittura tua nipote, ti accoglie con un caloroso “Ciao!”
A Le sorridi nella maniera più giovanilistica possibile, e le rispondi: “Ciao!”
B Inarchi le sopracciglia, e rispondi educatamente. “Buongiorno.”. Senza enfasi.
C La guardi torvo e poi dici: “Ma che avemo mai magnato insieme?”

2 Sul marciapiedi sotto casa tua vedi arrivare da lontano l’immigrato con il pacco di calzini in mano, che canta e cerca di stringerti la mano.
A Prendi la mano del tizio e dopo esserti sorbito sottovoce un elenco di disgrazie degno di una soap, allunghi un biglietto da 5 euro.
B Lo schivi con eleganza e dici, fingendo di essere al cellulare: “Non mi serve niente, grazie.”
C Batti ripetutamente l’indice sulla spalla del tipo dicendo: “Lo voi capì o no che i pedalini bianchi nun me li metto!!!”

3 Tutte le mattine passi dal giornalaio vicino al tuo garage e compri Repubblica e Corriere dello Sport. Il giornalaio ormai quando ti vede arrivare ti sorride e ti fa trovare i due quotidiani pronti.
A Sorridi anche tu, e senza dire niente lasci gli spicci e ritiri i giornali.
B Con uno sguardo corrucciato prendi i giornali, paghi, ma intanto pensi: “Ma se oggi volevo il Messaggero?”
C Guardi fisso il giornalaio con le palpebre a mezz’asta in stile Miniminions e con una voce bassa e tenebrosa ordini: “Il Messaggero, grazie”.

4 Un caro amico, soprannominato “Er Macarena” per il balletto che lo contraddistingue ogni volta che cerca i soldi per pagare, ti chiede 50 euro, promettendo di ridarteli il giorno dopo, cosa che ovviamente non avviene perché lui se ne dimentica.
A Sei un signore, te ne dimentichi anche tu, l’amicizia è una cosa meravigliosa.
B Lo incontri qualche giorno dopo, e gli ricordi il prestito, lui si da’ una manata sulla fronte e caccia i 50 EURO.
C Lo chiami dopo una settimana e gli dici: “A Se’, ma ‘sti cinquanta euri che te li sta a dipinge Giotto?”

5 E’ una domenica mattina d’agosto, e decidi di andare al mare. La Pontina è una teoria infinita di automobili che ti circondano e vanno a passo d’uomo verso il mare, mentre la corsia opposta è completamente libera.
A Ti rilassi sentendo un po’ di musica, quando arrivi, arrivi.
B Approfitti del tempo che sei costretto a passare sotto il sole cocente e incanali l’incazzatura litigando al telefono con tua madre, tua sorella, la fidanzata e anche la sorella della fidanzata.
C Allarghi le braccia ed esclami: “Ma indove cazzo deve anna’ tutta ‘sta gente de domenica mattina?”

6 C’è un collega che quando si va a prendere il caffè fa sempre finta di niente e non paga mai. Per l’ennesima volta al momento di cacciare i soldi ti guarda e dice: “A chi toccava oggi? A te?”
A Con il tuo sorriso più accondiscendente porgi due euro alla cassiera e continui a parlare di supercazzole lavorative.
B Tenti l’approccio morbido, e mentre dai i due euro alla cassiera dici sorridendo: “Oggi a me, domani a te”
C Rimani con le mani in tasca e per sottolineare il concetto dici: “A tu’ sorella”

7 Hai invitato a cena una gnocca da paura, e per fare bella figura che neanche Fantozzi con la Silvani, prenoti il tavolo in riva al mare in quella baietta semisconosciuta e romantica, tatticamente vicina ad un alberghetto, con la speranza di andare a dama subito. Ma quando arrivi c’è stato un misunderstanding e il tuo tavolo è quello tra la cucina e il cesso.
A Accetti questo piccolo contrattempo con un sorriso, incurante delle rughe che si formano sulla fronte della tipa, tanto è la conversazione quello che conta, no!?
B Protesti, e chiedi di parlare con il titolare, ottenendo alla fine uno strapuntino in mezzo al salone, a due metri da una festa di compleanno
C Guardi la tipa e dici: “Ma se questo punto andassimo direttamente in albergo?”

8 Sei al cinema a vedere un film francese fatto di dialoghi interminabili in una stanza buia. Un tizio davanti a te controlla in continuazione il cellulare con il risultato che ti spara la luce nelle pupille dilatate.
A Ti sposti di lato finché il cellulare non venga coperto dalla testa del tizio e non tidia più noia.
B Gli tocchi leggermente la spalla e sottovoce gli dici: “Scusi…le dispiace…”
C Nel mezzo della scena più toccante, mentre i due protagonisti stanno per dire qualcosa di fondamentale, urli: “Ma lo voi spegne ‘sto cazzo de cellulare!! O no!?”

9 Mentre passeggi con tua moglie/fidanzata/compagna un coatto le rivolge un complimento irricevibile, nonostante la tua presenza.
A Ti indigni e lo apostrofi con un: “Ma come si permette!!!”
B Ti lanci verso l’energumeno, non prima di aver verificato che intorno ci sia qualcuno che vi possa trattenere
C Fai spallucce e dici a tua moglie: “E dai, che vuoi che sia, non è mai morto nessuno per un complimento!”

10 Scrivi un post su fb in cui metti tutta la tua verve, la tua cultura, la tua rabbia esistenziale. Cominciano a prenderti per il culo in decinaia.
A Ridi con loro, fai un uso smodato di emoticon per dimostrare l’empatia e la classe con cui accetti le critiche.
B Ti infastidisci e cancelli il post per non dover leggere altro
C Spingi a ripetizione il pulsante “blocca questi stronzi” finché non ti viene un crampo ad una falange

Risultati del test:

Perfetto equilibrio tra A, B e C: a cazzaro! ma neanche sai conta’, nun l’hai fatto er test, nun ce prova’.
Prevalenza di A: sei il tenero Giacomo, sei morbido come un pelouche, l’amico delle donne, il parente da chiamare quando c’è da organizzare un funerale, il collega a cui sbolognare la pratica inevasa. Una pippa, insomma.
Tutte A: sei un pirla, un nerd, uno sfigato, più che forastico sei inutile. Vatte a ripone.
Prevalenza di B: sei democristiano, cerchiobottista, equilibrista, attento a non sporcare. Insomma, noioso.
Tutte B: sei medioman, l’uomo medio e prevedibile, inutile come l’acqua liscia, incolore, insapore, inodore. Ma che campi a fa’?
Prevalenza C: sei un coatto che odia il mondo, sei rissoso, irascibile ma non carissimo come Bracciodiferro, un cagacazzi doc.
Tutte C: rompicoglioni come pochi, puntiglioso, permaloso, fastidioso: insomma, sei me.

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Le Grandi Recensioni di Rolandfan – Jason Bourne di Paul Greengrass, con Matt Damon

Trama del Film
E’ la storia della più grande scoperta dell’informatica moderna.
Un genio della Silicon Valley, stanco di dover scrivere e riscrivere le stesse cose, ha inventato un’arma segreta che ha chiamato misteriosamente “CTRL-C e CRTL-V”.
Purtroppo il Direttore della CIA, allo scopo di proteggere il bilancio dello Stato, ha fatto hackerare i computer della società di informativa per carpirne i segreti.
In questo modo è riuscito a ricopiare le sceneggiature del primo film della serie “Jason Bourne” e di incollarle identiche, facendo risparmiare ai suoi amici anticomunisti di Hollywood milioni di dollari, e ricevendone in cambio l’ultima versione di FIFA 2018 in anteprima.
E quindi in questo film incredibilmente abbiamo un buono (Matt Damon), un cattivo (Vincent Cassel), il grande vecchio (Tommy Lee Jones) e la recluta gnocca (Alicia Vikander).
Sì, c’è l’inseguimento con le macchine, le sparatorie, e le acrobazie.
Il film?
Quale film?

Giudizio della critica
Film che appartiene alla categoria “Torecan” perché dopo due ore di cinepresa a mano senza una supposta vomiterete anche l’anima.
Sembra di stare sulle montagne russe, e dalla parte sbagliata per di più.
Il 90% delle scene è fatto da inseguimenti e sparatorie, in cui la mano dell’operatore doveva essere collegata al cestello di una lavatrice perché è praticamente impossibile capire alcunché.
Per evacuare la sala dopo la proiezione ci sono voluti 40 minuti, perché gli spettatori continuavano ad ondeggiare come se fossero scesi da una barca dell’America’s Cup, e sbattevano continuamente contro i muri, incapaci di infilare la porta.
Chilometri di pellicola rubata all’agricoltura.

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Le Grandi Recensioni di Rolandfan

Le confessioni – di Roberto Andò, con Toni Servillo e Pierfrancesco Favino

Trama del film
Ecco, sono un po’ in difficoltà su questo punto.
A essere sincero quando siamo entrati non riuscivo a capire quella grande folla di gente che fermava le persone all’ingresso del cinema e cercava di parlarci, ma siccome sono forastico e misantropo ho accelerato il passo e mi sono diretto prontamente al mio posto, in attesa che iniziasse il capolavoro.
Solo alla fine del film, quando sono uscito, ho capito che cosa volessero tutte quelle persone.
La stessa cosa che volevo io: capire come andava a finire.
Perché dopo una ventina di minuti all’interno della sala dormivano tutti.
Qualcuno con la testa reclinata, qualcuno appoggiato al braccio della moglie, i pochi bambini in braccio ai genitori, e pochi fortunati che avevano qualche posto libero vicino si sono sdraiati come fanno in aereo quelli in economica sulle lunghe tratte.
Ho aperto gli occhi un paio di volte, solo per rendermi conto che il sonoro del film era coperto dai rantoli del pubblico addormentato.
Che poi, sonoro: in quello spezzone che sono riuscito a vedere prima di crollare, avranno detto sì e no due parole, tutte altisonanti, e sinceramente non c’era gran che da ascoltare.
E così, terminato il film, e ristorato da un sonnellino pomeridiano, anche io mi sono messo davanti al cinema a fermare quelli che entravano: “Ma voi l’avete già visto ‘Le Confessioni’? Che mi sapete dire cosa succede tra i titoli di testa e i titoli di coda? Avete dormito pure voi?”
Ecco, se c’è qualcuno che l’ha visto e vuole farmi sapere cosa succede, mi scriva pure, glie ne sarò grato.

Giudizio della critica
Finalmente insieme i due Raoul Bova del cinema d’autore italiano: Toni Servillo e Pierfrancesco Favino.
Non può esserci film con qualche pretesa che non abbia uno dei due come protagonista.
In questo film Andò non solo li mette insieme, ma riesce anche a far recitare loro le loro maschere preferite: Servillo fa Jep Gambardella, e Favino il politico laido, vigliacco e menzognero.
Non saremo mai abbastanza grati a Sorrentino per averci regalato questa sequenza di cloni, da Suburra a Le Confessioni, in cui tutti sorrentineggiano come se fosse facile.
Film impeccabile: movimenti della macchina perfetti, regola dei terzi rispettata al millimetro, luci sapientemente dosate, nessuna linea che non sia perfettamente parallela, attori bravissimi e credibili.
Insomma, du’ palle.

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Le Grandi recensioni di Rolandfan

Il ponte delle spie – di Steven Spielberg con Tom Hanks

Trama del film

Un avvocato americano fornisce supporto al governo per facilitare uno scambio di spie.
Embè? Tutto qua? Due ore e venti per una cosa così?
Ok, elaboro.
Un avvocato americano esperto in questioni assicurative difende una spia russa e fornisce supporto al governo per facilitare uno scambio di spie.
Ma non è un po’ poco? Omicidi? Tradimenti? Sesso sfrenato? Non c’è altro?
Dai, faccio uno sforzino.
Un avvocato americano esperto in questioni assicurative difende una spia russa e fornisce supporto al governo per facilitare uno scambio di spie, a Berlino.
Fine, non mi chiedete altro, perché non c’è altro.
Due ore e venti di sonno, quando con cinque minuti potevano chiudere tutto, e spararsi il resto della pellicola in spogliarelli e partite di calcio.

Giudizio della critica
Beh…Spielberg è Spielberg…
Tom Hanks lo conosciamo tutti…
Gli attori non protagonisti…tutti bravi…ci mancherebbe…
Ah la ricostruzione di Berlino fantastica…
Uh i movimenti di macchina…
I titoli di testa e di coda…ah che grande maestria…
Ma il film, quando lo proiettano?

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Le grandi guide di Rolandfan

Il Giappone in tempo reale.
Terza e ultima parte.


Ed eccoci giunti alla parte finale di questa guida. Il viaggio sta finendo, e con esso anche le mie indicazioni fondamentali sul Giappone.
Ho detto già molto nella prima e seconda parte, in questa terza comincerò a tirare delle somme, ma una cosa la posso anticipare: il Giappone è un paese diverso, il che vuol dire strano, interessante, complicato.
E’ occidentale in un modo orientale, se capite quello che voglio dire, vi troverete più a casa vostra a Kansas City che non a Kyoto.
Tutto vi sembrerà alieno, e questo ne fa un posto fantastico per chi ha voglia di scoprire nuovi, strani mondi, e andare coraggiosamente là dove nessun uomo è mai stato finora.

In Giappone non esistono cani e gatti, nonostante al fedele amico dell’uomo abbiano dedicato una statua davanti alla metro di Shibuya per aver aspettato il padrone venti anni.
Probabilmente è l’unico cane che non è finito nelle mire di un accalappiacani (o che dio non voglia di un ristorante), perché, semplicemente, non se ne vedono.
Gli unici cani che ho visto erano microscopici (la mia conoscenza della biologia non mi consente di affermare con sicurezza che non fossero toporagni, ma sospetto fossero cani), vestiti con cappottino e pellicciotto, ed erano rigorosamente in braccio.
E’ possibile che in qualche remota provincia di Hokkaido esista un alano danese allo stato brado, ma mi perdonerete se non mi giro tutto il Giappone per andare a verificare.
Il fatto è: a Tokyo e Kyodo cani e gatti non si vedono, se non immortalati in qualche statua o souvenir.
A me non sono mancati, soprattutto non mi sono mancate le loro merde in mezzo agli spartitraffico, o la striscia di urina sulla ruota posteriore della mia macchina.
I cani in città per me non sono i benvenuti, e non averne trovati non mi è dispiaciuto. Neanche un po’.

Se la vogliamo dire tutta, non ci sono neanche mendicanti, lavavetri, venditori di calzini, bancarelle improvvisate, sbattitori di pupazzetti pakistani, e tutto quello zoo che invece nelle città italiane, Roma in testa, è fiorente.
In una settimana ho visto solo due persone dormire per terra, e di queste solo una era giapponese, l’altro era un turista sfinito dal milionesimo tempio buddista.
Quindi, se pensate di venire in Giappone, nel regno del crisantemo, e fare come Hair in Central Park ve lo potete pure dimenticare, vi buttano in galera e tirano la chiave nelle mutande di un lottatore di sumo.
Siete avvisati.

Il karaoke in Giappone è una cosa seria.
Non ho avuto il coraggio di entrare in un karaoke bar, ma mentre da noi sono di solito dei tuguri arrabattati, qua l’ingresso è come quello nel tempio di Anxur: colonne come piovesse, signorine graziosamente svestite, e tutti in abito da sera.
Sembra di stare al Bingo, con la differenza che non vogliono togliervi i soldi. Cioè sì, ma in un altro modo.
I locali di karaoke sono bellissimi, illuminatissimi, e con file mostruose per entrare.
Ma non si sente una sola nota filtrare fuori.
Ci sarà un motivo, o no!?

A proposito di gente: in Giappone sono milioni. Milioni di milioni. Non c’è un solo posto dove non ci siano tonnellate di esseri umani pronti a rovesciarvisi addosso quando scatta il verde.
Per fare una foto senza esseri umani a Fushimi Inari ho dovuto far saltare una mina antiuomo.
Se pensate che Shibuya Crossing sia un simpatico teatrino per turisti, vi sbagliate: gli attraversamenti pedonali sono TUTTI così.
E siccome in Giappone si tiene la sinistra sempre, anche quando si va a piedi, anche quando si salgono o scendono le scale, sospetto anche quando si tromba, se vi trovate dalla parte sbagliata venite travolti. Punto.
Nessuno si scansa.
Vi ammazzeranno, però vi chiederanno scusa, perché sono gentili. Implacabili ma gentili.

Ecco, la gentilezza dei giapponesi è una cosa mitica.
In oltre una settimana di permanenza, tra l’altro in due metropoli affollatissime, non ho mai, dico MAI visto nessuno incazzato, nessuno alzare la voce, nessuno dare uno scappellotto al figlio per strada, nessun ragazzino frignare, tranne uno che ho fatto cappottare io a Fushimi Inari per fare una foto, e ha pianto per tutto il tempo con il padre che componeva nervosamente il numero di Hattori Hanzo.
Nei negozi è un continuo “irasshamaise” (benvenuto), le commesse sempre sorridenti, gli addetti sempre gentilissimi.
Quando devono darti una brutta notizia (è finito il cinnamon roll da Starbucks, oppure non puoi fare foto) incrociano le braccia a X e si prostrano per scusarsi.
Dato che questo è il paese dei samurai, del harakiri e del seppuru, della katana, del karate, del kung-fu, del tora tora tora, immagino che ogni tanto si incazzino anche loro, e di brutto pure.
Però, come è giusto che sia, si incazzano quando serve, una volta ogni tanto, non come noi che stiamo sempre pronti a magnasse vivi l’uno con l’altro, che quando siamo gentili sembriamo morti, la gente se preoccupa se la pressione scende sotto i duecento.

Del cibo giapponese ho già parlato, qualcuno si è un po’ risentito (ovviamente non i giapponesi, che sono gentilissimi e se ne fottono altamente di quello che penso io e se si fossero incazzati non avrei probabilmente più le braccia per scrivere), quindi ci tornerò sopra, anche perché nel frattempo ho fatto qualche tentativo, e posso emettere una sentenza con più cognizione di causa.
Ragazzi, rassegnatevi, il cibo giapponese è una schifezza immonda.
Perché voi pensate che la cucina giapponese siano quei microscopici pezzettini di pesce crudo affogati nel riso e ricoperti di viakal che vi mangiate alle feste fighe (cit.), oppure quelle fritture di frittura (dentro non c’è niente) che vi spacciano come prelibatezze.
No, ragazzi, non scherziamo (cit.). Qua si mangiano cose terribili.
A parte la quaglia allo spiedo, che basterebbe quello per farmi rimpiangere la fettina panata di mamma tutta la vita, ma ci sono altre prelibatezze che neanche vi so descrivere.
Intanto perché non esiste un nome equivalente traducibile dal klingoniano, e poi perché certi animali neanche ce li abbiamo.
E quando pure noi ce li abbiamo, loro li combinano con incroci al limite del Frankstein.
Prendiamo per esempio i piccoli di polpo, di pochi centimetri, cotti, laccati, con dentro un uovo di quaglia.
Io mi chiedo come sia lontanamente possibile paragonare questa roba alla piadina con lo squacquerone.
Oppure le prelibatezze fritte, tipo ostrica, polpo, e altri animali molto in basso nella catena alimentare.
No dico, ma du’ supplì ve facevano schifo?
E poi i dolci.
O signore mio. Ho assaggiato due zozzerie terrificanti: una, una specie di marshmellow di polvere di te della stessa consistenza del vinavil a metà dell’essiccamento, un altro una fragola (noto frutto di stagione) appoggiato su una base di farina con dentro gomma americana masticata (così mi sembrava).
Insomma, il Giappone è un paese magnifico, ma per mangiare consiglio vivamente di buttarsi sulle catene americane che tanto disprezziamo, ma poi quando serve ci stanno sempre.
Lo so, mi farò molti nemici, ma prima di insultarmi ricordate che pure io c’avevo il numero di Hattori Hanzo.

Non posso chiudere questa guida senza un consiglio per i fotografi.
Se vi piace fare ritratti, sappiate che le donne giapponesi, soprattutto se vestite in modo tradizionale, amano farsi fotografare.
Ovviamente dovete essere gentili, sorridenti, chiedere permesso, non essere invadenti, e vedrete che porterete a casa delle foto bellissime.
Insomma, siate italiani solo per la parte bella, la parte arrogante e presuntuosa lasciatela a casa, in Giappone non serve.

Spero che queste note semiserie vi siano servite. Il Giappone è una paese strano e meraviglioso, una volta nella vita vale la pena venire.
Se non altro per controllare se ho detto stronzate.

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Le grandi guide di Rolandfan

Il Giappone in tempo reale – parte seconda

Nella prima parte di questa guida abbiamo affrontato temi generali, di pubblica utilità.
Ora scenderò in qualche particolare, che come noto è di interesse principalmente del demonio..
Perché sapevatelo la cosa più bella in un viaggio è guardare le minuzie, e fottersene dei musei.
E non mi dite che a Parigi vi interessate più del Louvre che della lunghezza delle gonne, perché non ci credo.
Se fosse così, non stareste leggendo queste note…

Come noto, il Giappone è la terra della tecnologia. Non è un caso se giro con una macchina fotografica fatta in Giappone, ho un’automobile giapponese, e anche se il cellulare è coreano sono sicuro che hanno copiato.
Ai giapponesi la tecnologia piace.
Piace moltissimo, il che è incredibile in un paese per certi aspetti così attaccato alle tradizioni.
Piace così tanto che la applicano a tutto, e in qualche caso secondo me esagerando.
Prendete ad esempio il gabinetto.
Che ci sarà da innovare tecnologicamente in un cesso, direte voi?
Eh….amici (cit.) non sapete cosa dite.
Come è noto, l’unico paese al mondo in cui esiste il bidet è l’Italia. Neanche i francesi ce l’hanno, eppure la parola a occhio e croce l’hanno inventata loro.
E se non ce l’hanno i francesi, malati di grandeur, figuriamoci i giapponesi, che hanno fatto del minimalismo abitativo una ragione di vita.
Per cui si entra in albergo già rassegnati alle solite contorsioni nella vasca per convertirla in un bidet efficiente, che in confronto Roberto Bolle è una statua di sale.
Invece basta un’occhiata al water (più prosaicamente detto tazza del cesso) e subito innalzate lodi all’arugzia e alla tecnologia giappo.
Aspettate ad esultare, date retta a me.
Intanto siamo tutti abituati da millenni a pensare al bagno come ad un oggetto semplice: apro rubinetto, chiudo rubinetto, insapono, risciacquo, insomma le operazioni sono tre o quattro, sempre quelle.
Invece quando ti siedi sulla tazz…sul water, scopri che hai a disposizione una plancia di comando che sembra proprio la stessa di quando hai giocato al simulatore dello shuttle.
Mi correggo, era il simulatore di una navicella klingon, perché le scritte sono in klingoniano.
A questo punto scatta inevitabile il panico, che come primo effetto ha quello di far rientrare la necessità, per cui vi alzate e ve ne andate, sperando che qualcun altro scopra il mistero prima di voi.
Dato che a tutti fa quell’effetto, ad un certo punto è inevitabilmente di nuovo il vostro turno, e stavolta non ci sono santi: la dovete PROPRIO fare.
Quindi siete costretti ad usare quei pochi neuroni a disposizione (gli altri sono impegnati a non farvela fare sotto) per capire che cacchio significano quei simboli.
Niente paura. Ci sono qua io che ho sperimentato per voi.
Ovviamente poco prima di lasciare l’albergo, non per vigliaccheria, ma solo per stare tranquillo eh!?
Diciamo che la strumentazione prevede in sostanza quattro comandi principali. Vado ad elencare:
– Generatore di suoni vari. Cinguettii, rumori stradali, insomma c’è di tutto, per evitare di far sentire cosa state facendo VERAMENTE
– Riscaldamento. Siamo sinceri, quante volte nel freddo dell’inverno ci siamo dovuti alzare per andare al bagno, e abbiamo messo in pratica tutti i riti possibili per reggere l’inevitabile collisione chiappacalda-tavolettagelata? Ecco, in Giappone non esiste più il problema, basta preriscaldare con l’apposita manopola l’appoggiachiappe. Attenzione però: dato che il range di temperatura possibile va da iceberg islandese fino a macchie solari, passare da un piacevole tepore al barbecue delle natiche è un attimo. Stateve accuort.
– Doccia. Pulsante che ho premuto con cautela, stando attento che non ci fossero bocchettoni sopra di me (a parte le zone franche ero ovviamente vestitissimo). Invece come si può immaginare un piacevole e delicato getto si riversa sulle vostre pudenda tentando di rendervi di nuovo lindi e pinti come quando eravate entrati. Non serve a una mazza ma fa piacere.
– Bidet. Dopo aver testato il pulsante “doccia” ovviamente mi sono chiesto che differenza ci fosse con il pulsante bidet. In pratica la traduzione in inglese dal klingoniano deve essere stata fatta da qualcuno che non conosce il klingoniano. O l’inglese. O nessuno dei due. Perché “doccia” in questo contesto vuol dire “leggero getto d’acqua sul culo”, mentre “bidet” significa “rovesciamento di un significativo quantitativo d’acqua su tutto ciò che sta sotto il tropico del cancro”. Sconsigliatissimo.
Per capirci, dalla prossima volta torno a fare il Bolle. Magari qualcuno ce casca pure.

Dalla grande quantità di giovani e giovanissimi in giro se ne deduce che la cara, vecchia attività riproduttiva è ancora in auge qui in Giappone.
E’ però lecito domandarsi che metodo useranno.La gemmazione? Partenogenesi? Lancio della palla?
No perché se ricordo male dall’ultima volta che ho provato, ci vogliono almeno un elemento per parte. N’omo, na donna, insomma.
Ma gli uomini dove stanno?
Cioè, non è che non se ne vedono in giro, intendiamoci.
E’ pieno di uomini vestiti (male) per andare in ufficio, nei negozi, per le strade.
Ma poi, quando vai nei luoghi deputati al rituale del corteggiamento, non ce stanno.
Ho visto vagaonate di ragazze carine, vestite eleganti (sempre male), spesso in maniera provocante, sedere a gruppi di due, tre, dieci nei bar, starbucks, ristoranti, dappertutto.
Ma sempre senza uomini.
E dove li metttono?
Ho provato a immaginare come funzioni in Giappone il rito dell’accoppiamento, ma non mi è venuto in mente niente di intelligente.
Forse che l’uomo giapponese attende a casa, saltando direttamente tutte quei noiosi preliminari fatti di “ti porto a cena, ti dico quanto sei bella, ti faccio ridere, ti porto a letto” per passare subito all’ultima fase? Interessante…
Oppure l’accoppiamento è prestabilito da un supercomputer della Sony che ogni giorno decide a chi tocca e chi no, ein entrambi i casi inutile dannarsi, tanto te tocca o non te tocca lo sai subito?
O ancora, magari gli uomini giapponesi sono abilissimi nei travestimenti, e siccome sono per lo più glabri basta vestirsi da Sailor Moon per accodarsi ad un tavolo di tope e poi al momento opportuno ZANZAN! ?
Non ho capito, so solo che suggerisco vivamente ai single italiani in ascolto di fare un salto qui per verificare se il tanto vituperato rituale italiano “ciao-bella-come-tantitoli-ce-vieni-a-fa-ngiretto” funzioni ancora…

I giapponesi si vestono male. Malissimo.
Questo non sorprende visto che a parte gli italiani, i francesi e un po’ (ma neanche tanto) gli inglesi tutti gli altri popoli non hanno idea di cosa significhi accoppiare forme e colori.
Ed ecco che istantaneamente il vostro amato Rolandfan, nella sua tenuta da sbarco scarpadaginnasticablu-pantaloneverdemarcioacostine-maglioncinodicachemirearagosta viene eletto Mister Eleganza Tokyo 2015.
Il punto però non è questo.
Magari uno poteva aspettarsi che almeno fosse pieno di persone in abito tradizionale, che almeno lo facessero per noi turisti.
Niente, gli unici due maschi in vestito tradizionale erano i proprietari di un negozio di tessuti che si mandavano bacini tra di loro.
Purtroppo i giapponesi si sono fatti irretire dalla moda occidentale e l’hanno personalizzata con un gusto del trash che non ha eguali.
Il top ovviamente sono delle simpatiche salsicciotte che anche d’inverno si ostinano ad andare in giro con delle parigine, minigonna a pieghe, capelli a caschetto (spesso rosa) con due ciucci e trucco da battona della Salaria.
Ma anche soprabiti bianchi con effige di marylin oppure trucco stile “Spazio 1999”, insomma i giapponesi non si vergognano di niente quando si tratta di andare in giro vestiti ridicoli.
Ovviamente nelle strade più in di Rappongi e Ginza sono tutti negozi di stilisti italiani, perché noi paraculi quando si tratta di approfittarsi degli altri siamo sempre in pole position.

Se volete fare un’esperienza di shopping giapponese senza muovervi dall’Italia, o meglio da Roma, basta andare a Porta Portese. Oppure a Ballarò se siete di Palermo e così via.
I negozi giapponesi sono la copia sputata di Porta Portese.
Fuori ci sono degli imbonitori, spesso dotati di fastidiosissimo microfono, che cercano di buttarti dentro il negozio cantilenando e sorridendoti tutto il tempo.
Un po’ quando vai a Via Sannio e ti aggrediscono subito con “giovane, che te serve?”.
La tecnica è la stessa, sorridere e andare avanti.
Se disgraziatamente vi fate convincere ad entrare nel negozio, la catena di comando è identica: il buttadentro vi passa ad un commesso (qua gentilissimo e spesso donna, ma non stiamo a sottilizzare, sto parlando di strategia) che subito vi porta dal boss, quello che “se ne intende”. Ora, io cercavo una banale scheda SD, ma niente, sono stato trattato come se stessi per comprare una lente per l’Hubble.
Il boss si è rivolto a me in klingoniano, e subito ho immaginato il suo corrispondente al banco 12 di Porta Portese “che je damo a ‘sto regazzo? che cercavi, i jeanse?”
Inutile dire al boss di Porta Portese che volevi un cappello di paglia per la fidanzata, così come è inutile dire a Tokyo che cerchi una scheda SD da 16 Gbyte 90 mbyte/s.
“Che taglia porti?” ti chiederà inevitabilmente il boss.
“Che obiettivo ti serve?” ti chiede il suo omologo giapponese.
Uscire senza aver comprato niente, o meglio, avendo comprato solo quello che serva a te, è difficilissimo, anche perché obiettivamente di roba da comprare ce ne sarebbe a tonnellate, ma sono cresciuto a Porta Portese e Via Sannio e gli imbonitori giappo mi fanno un baffo.
Gli altri italiani escono con i trolley pieni. E ovviamente hanno comprato anche i trolley.

Le giapponesi sono carine, per lo più. Mi piacciono i loro visi puliti, sorridenti, la cura con cui si truccano, e anche se si vestono da schifo sono comunque graziose.
Mi fa un po’ ridere come camminano, non so se per fattori fisiologici o culturali: le punte dei piedi rivolte verso l’interno, le ginocchia un po’ storte e i piedi che non si alzano mai da terra più di qualche centimetro, tanto che per quel che ho potuto capire trascinano tutte un po’ i piedi.
Spessissimo mi è capitato di vederne una correre con grazia, probabilmente perché in ritardo, sempre con questo passettino affrettato e mai volgari.
Anche nei negozi, sono sempre sorridenti, gentili, apparentemente mai arrabbiate.
Faccio il confronto con certe commesse che girano a Roma e mi viene lo sconforto.
Le ragazze giapponesi mi danno tutte l’idea di essere la donna ideale per ogni uomo italiano, abituato a certe esternazioni femminili che lasciano interdetti.
Ve lo dico, donne in ascolto: a noi uomini, la gentilezza, ce piace.

La stazione di Tokyo è da evitare per quanto possibile.
Prima di partire cercate una combinazione di treni/aerei che vi eviti l’esperienza di dover capire da dove parte il vostro treno, dove comprare i biglietti, come fare ad accedere alle piattaforme, insomma tutto quello che a casa fate con naturalezza.
Capire qualcosa alla stazione di Tokyo è un’impresa catalogata alle olimpiadi del turismo con un moltiplicatore 4, analogo a quello nei tuffi del triplo carpiato rovesciato avvitato e intanto scatto una foto a quella carina in terza fila prima di entrare in acqua.
La quantità di gente in continuo movimento, il numero immenso di piattaforme e l’assenza di indicazioni comprensibili rende questo luogo simile allo spazioporto di Trantor (se non avete letto Asimov peggio per voi, non meritate neanche che ve la spiego), in cui se vi fermate fate la fine della pallina violentata da Roger Daltrey (nemmeno questa ve spiego, fateve ‘na cultura pop).
Ci sono è vero dei gentilissimi addetti che rilasciano indicazioni, ma immagino che la stazione di Tokyo sia un po’ la cayenna degli impiegati ferroviari, ci mandano solo quelli in punizione, i quali probabilmente odiano il genere umano, sopratttutto senza occhi a mandorla, e mettono un impegno particolare nel mandarvi in posti sbagliati.
Dopo un po’ voi manderete invece loro nei posti giusti, ma questo non risolverà il vostro problema: trovare il binario e il treno giusto, per non ritrovarvi a Ho-chi-min City invece che a Kyoto.
Per fortuna che c’è una cosa che neanche a Tokyo possono cambiare: i numeri. E siccome i giapponesi sono precisi, ogni treno ha un suo numero univoco (dice: pure da noi.E non so’ mica sicuro, sa’…), per cui basta incollarsi al numero giusto e seguirlo dovunque compaia.
Piccolo inconveniente: i numeri dei treni compaiono solo poco prima della partenza, per cui passerete un bel po’ di tempo in ansia finché non vedret spuntare il numerino.
La stazione di Tokyo è sconsigliata per gli ansiosi e i portatori di pacemaker.
Comunque, il treno l’ho preso, e quindi a breve vi saprò dire altro di questo fantastico paese…se sopravvivo, cioè.

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Le grandi guide di Rolandfan

Il Giappone in tempo reale.
Parte prima.

Se siete come me (programmare qualcosa vi urta, studiare una guida prima di salire su un aereo lo ritenete una perdita di tempo, a chiedere informazioni a chi c’è già stato vi sembra di fare la figura del fesso e così via) è facile che partirete per un paese distante e alieno come il Giappone senza sapere gran che di quello che vi aspetta.
Poi finalmente, quando manca poco all’atterraggio, consultate freneticamente la Lonely Planet in cerca di qualche suggerimento, e tutto quello che leggete vi spaventa.
Il panico monta e quando finalmente atterrate siete terrorizzati da quello che vi aspetta.
E’ per quelli come voi, cioè come me, che ho deciso di buttare giù qualche indicazione su cosa fare o non fare, o insomma cosa aspettarvi, così potrete volendo anche risparmiare i soldi di una guida, e magari anche quelli del Maalox.
Ecco quindi la guida del Giappone in tempo reale, cioè scritta QUI.
Non c’è un piano editoriale, quindi beccatevi quello che viene.
Ma sono sicuro che sarà ben più utile della lista di dieci luoghi da non perdere (oggi ne ho perso uno), o dei dieci ristoranti migliori di Tokyo (appartengono tutti alla catena “McDonald’s), e poi è scritta nel mio famoso stile pomposo e pretenzioso, vale tutti i soldi che costa (niente, appunto).
Buona lettura.

La cosa che vi diranno tutti, e che troverete su tutte le guide è che i giapponesi non parlano inglese.
Per questo motivo molti passano le settimane precedenti al viaggio a imparare almeno un minimo di frasi per sopravvivere.
Fatica inutile.
Prima di tutto le indicazioni scritte sono incomprensibili, e se anche voi aveste imparato che “arigato” vuol dire “grazie” quando lo vedeste scritto per voi la differenza tra “grazie” e vaffanculo” sarebbe impossibile da capire.
Se invece proverete a sparare una delle frasi faticosamente imparate a memoria ad un indigeno egli non capirà una mazza (la pronuncia è antiintuitiva, non parliamo degli accenti e della modulazione dei toni), ma soprattutto vi risponderà in klingon (per voi tra giapponese e klingon non c’è alcuna differenza) e quindi sarete nei guai.
La buona notizia è che i giapponesi l’inglese lo parlano. Eccome. In alcuni casi anche con una certa destrezza. E comunque uno che sappia almeno dire “destra, sinistra, su, giù, toilette, fermo o sparo” in inglese lo trovate sempre.
In moltissimi casi le scritte sono bilingue (giapponese e klingon) ma qualche volta c’è anche l’inglese, quindi fatevi un favore, imparate un po’ di inglese che è utile in Giappone ma soprattutto a Londra.

Altro mito da sfatare: quando si arriva a Tokyo se non si è programmato tutto in anticipo non ci si riesce a districare.
Per essere chiari: non avevo prenotato niente, né cambiato i soldi, comprato un biglietto, una guida, niente di niente.
Però sono arrivato in aeroporto, e in dieci minuti ho preso a noleggio un router wifi, comprato i biglietti del Narita Express, cambiato gli euro ad un tasso TRENTA per cento più vantaggioso che a Fiumicino e mi è anche avanzato tempo per andare al bagno.
Il Giappone è efficiente, soprattutto con i turisti. Sapevatelo.

La metro di Tokyo invece è un bagno di sangue.
Intanto ce ne sono di fatto TRE, altamente incompatibili tra di loro: la JR Yamanote (circolare), poi due gruppi di linee di due società diverse.
Per complicare le cose, le scritte sono per lo più in giapponese, e comunque se avete in mente la mappa della metro di Londra scordatevela: anche quando sono in inglese non si capisce niente.
I collegamenti tra le stazioni sono in YEN. Sì esatto, le scritte indicano quanto devi pagare da una stazione all’altra ma capire DOVE sta una stazione e COME arrivarci è un’opera di ingegneria linguistica che mette a dura prova.
Inoltre a tutt’oggi non siamo riusciti a convincere le ticket machine a prendere la carta di credito.
Insomma, la metro è una bella avventura, alla fine si riesce a svangarla ma ci vuole tempo e pazienza, quindi siete avvisati.

La cosa che impressiona di più del Giappone è la pulizia. Lo so che l’avete letto da tutte le parti, ma vi assicuro che vederlo, soprattutto per un italiano, è uno shock.
In Giappone nessuno fuma per strada (proibito), nessuno mangia o beve (probabilmente possibile ma non lo fanno), non ci sono rifiuti per strada di nessun tipo, anzi: non ci sono neanche i cestini della spazzatura.
Molte persone girano con una mascherina sul viso, per paura di contagio di non so cosa, ma comunque il punto è: non capisco come facciano i giapponesi quando vengono in Italia a non vomitare ad ogni passo.
Certo, loro per noi sono un po’ fissati, ma noi siamo probabilmente più vicini all’uomo di Neanderthal, per loro.

I giapponesi sorridono sempre. Sempre. Non ne ho visto uno incazzato, almeno apparentemente. Probabilmente quando si incazzano ti decapitano direttamente, ma per fortuna succede raramente.
Sono un popolo gentile, educato, pieno di buona volontà nel fornire indicazioni per lo più sbagliate (l’inglese non lo sanno tutti COSI’ bene), e sempre sorridente se sorridi anche tu.
Inoltre godono tutti di ottima salute alla schiena. Quello, oppure fanno delle inalazioni quotidiane di Voltaren perché dopo aver cercato di rispondere agli inchini due o tre volte mi si è bloccata una vertebra.
L’educazione con i giapponesi è una faccenda per giovani, gli anziani come me devono risparmiarsela.

Simpatica l’usanza di porgere e prendere tutto con due mani: scontrini, carte di credito, buste dei negozi, etc. Dopo un po’ anche voi comincerete a farlo, perché è un’usanza veramente bella, significa che in quel momento l’attenzione e il rispetto sono tutte per la persona che si ha di fronte.
Peccato che gli italiani in mano hanno sempre cellulare, macchina fotografica, lonely planet, un cornetto, mille yen, il golfino che fa caldo, e la busta con i regali, quindi ogni volta ti cade qualcosa e bestemmi.
Per fortuna che i giapponesi non capiscono le nostre bestemmie, quindi se riuscite a rimanere sorridenti potrebbero pensare ad uno strano rituale in cui quando vi viene porto qualosa voi buttate altro a terra in segno di apprezzamento.
Solo una volta uno ha tentato di ripetere: “Porco…” e ho capito che è il caso di liberare le mani quando si paga alla cassa.

Sul cibo giapponese ho già detto in altro luogo.
C’è chi lo adora. Beato lui.
Per me il cibo giapponese è da evitare come la peste.Trattasi per lo più di roba venuta dal mare e morta pochi secondi prima di esservi servita senza essere passata per alcun tipo di alterazione chimica (leggasi: cottura).
Ah sì, poi ci sono delle cose fritte che mi fanno rimpiangere la pastella di mamma, e degli intrugli brodosi con dentro oggetti di vario genere che per riconoscerli ci vuole il RIS di Parma.
Per fortuna trovate di tutto. Ecco, per me tutto, qualsiasi tutto, è meglio del sushi.

Altro mito senza costrutto, così chiudiamo il trittico: il Giappone è caro.
Ora, non ho provato a comprare un appartamento, quindi sul real estate non sono preparato.
Ma gli alberghi costano come a Roma o Milano, da mangiare costa meno, la metro costa meno, il treno dall’aeroporto un po’ di più ma poco, non parliamo di gadget, regali, elettronica.
Il volo per Tokyo costava meno di quello per San Francisco.
Insomma, non è come andare in Grecia, ma il Giappone è abbordabilissimo. Se poi invece di prendere un quattro stelle vi accontentate di un b&b, magari tradizionale, è una vacanza che si può fare con una certa tranquillità.

La quantità spaventosa di giapponesi che lavorano mi mette paura. In ogni negozio ci sono almeno tre o quattro volte più commessi di quanti ce ne sono in analogo esercizio italiano.
Non è raro vedere per ogni cassa DUE cassieri.
Per strada è pieno di poliziotti, vigili, volontari che ti dicono dove andare e cosa fare.
Idem nella metro.
Pure da McDonald’s ti accompagnano con un inchino.
Come risultato, l’efficienza è massima, tutto funziona perfettamente e se non funziona viene aggiustato.
Ad esempio l’altro giorno al check-in una dei CINQUE impiegati al PRIMO check-in (sono due) dell’albergo mi ha chiesto cortesemente di tornare dopo le 14.
Abbiamo lascito i bagagli, fatto un giro, pranzato e dopo le due siamo tornati.
Mi rimetto in fila ma prima ancora di arrivare al desk una gentilissima signorina mi fa cenno di andare ad un altro desk, molto più lontano.
Allora mi giro e vado, e mi rimetto in fila di nuovo.
Dopo un po’ un’altra signorina di corsa viene a chiamarmi e mi riporta al primo desk con motivazioni incomprensibili (parlava solo klingoniano); mentre passo vedo la signorina di prima, quella che mi aveva spedito al desk in fondo a marte inchinarsi praticamente fino a terra per scusarsi dell’errore.
Ecco, pare che quella signorina sia finita nel menù di sushi di uno dei ristoranti della zona.
Poi dice perché non mangio il sushi.

I giapponesi sono piccoli, molto più piccoli di me.
Questa loro caratteristica mi sta un po’ antipatica, perché vuol dire che NIENTE è a misura mia.
In particolare i bagni.
In albergo c’è una vasca più piccola del bidet di casa mia, e quando sto in piedi per fare la doccia a parte che il telefono della doccia mi spinge sulla cervicale, ma sbatto anche al soffitto.
Senza contare che se voglio sedermi sul water devo mettere una gamba nella vasca e una nella stanza da letto, il che rende la cosa poco divertente per gli altri…
E comunque non è tanto la loro statura a starmi antipatica: è il fatto che sono tutti dotati di una capigliatura folta e nera, oppure folta e grigia, oppure folta e bianca, ma insomma limortacciloro so’ pieni de capelli.
Per rappreseglia ho buttato una gomma americana per terra e ci ho incollato una lattina de coca.
Così s’imparano.

Food

Le Grandi Recensioni di Rolandfan – Spectre, di Sam Mendes con Daniel Craig

Trama del Film
Avrei voluto scrivere: “E’ un film di 007” e mai come in questo caso la tautologia si sarebbe trasformata da voce della Treccani in verità storica.
Tuttavia ho editori rompico….esigenti che pubblicano le mie cose, e anche lettori che si aspettano da me una marea di cazz…una certa elaborazione sul tema, quindi allungherò il brodo.
Un agente dei servizi segreti di Sua Maestà, un figo della madonna, gira tutto il mondo insieme a tope pazzesche per inseguire dei supercattivoni che vogliono conquistare il mondo.
Egli è dotato di armi sofisticatissime, automobili strabilianti, compie rocambolesche cadute e incredibili salvataggi, riesce ad ammazzare tutti quelli che gli si parano davanti rimanendo impermeabile a gragnuole di colpi, e alla fine, dopo aver salvato il mondo nonostante nemici anche interni alla sua organizzazione e un supercattivone livoroso, beve un martini “shaken, not stirred” andando via con la sua Aston Martin.
Ah beh, sì. E’ la stessa trama del primo, del secondo, del terzo, e anche del prossimo, che vi aspettavate?
Qui, diciamo, la differenza è che la Bond girl è un po’ più stagionata.
Intendiamoci, Monica Bellucci anche a cinquanta anni è uno spettacolo della natura, ma ad un certo punto ho temuto che quando lui la sbatte contro lo specchio (non per farle togliere un peletto dall’occhio, capisciammé) l’osteoporosi le fratturasse un femore.
Invece ha retto bene, dai, grazie anche agli ammortizzatori che le ha fornito madre natura.
Solo, un pochino poco credibile il doppiaggio.
Ops. Era la sua voce? Azz, che figura che ho fatto…

Giudizio della Critica
Ammettiamolo.
La sigla di testa è uno spettacolo, così come la canzone.
E voglio essere generoso: il piano-sequenza iniziale veramente pregevole, quasi stupefacente.
Avrei pagato il biglietto solo per questi primi dieci minuti di film.
Ma per le restanti due ore e mezza, che cazzo, me dovevano paga’ loro.
Per fortuna che scelgo sempre sale con poltrone comode, almeno non mi viene la cervicale quando dormo.

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Le Grandi Recensioni di Rolandfan – Suburra di Stefano Sollima con Pierfrancesco Favino

Trama del Film
Roma. Autunno 2011. Piove. Sempre (siamo in un film di fantascienza, non vi preoccupate, a Roma non piove mai).
A seguito dell’esplosione di un ordigno termonucleare di tipo selettivo, sono scomparse dalla città tutte le persone normali: io, voi, impiegati, netturbini, guidatori dell’ATAC e soprattutto addetti alla manutenzione fognaria dell’ACEA.
Sono rimasti solo: mignotte (in grande quantità), politici corrotti, delinquenti, vigliacchi, zingari, ex membri della Banda della Magliana (che ci sta sempre bene in qualsiasi film), mafiosetti locali, guardie del corpo e spacciatori.
Il film è molto lungo e non siamo sicuri di aver afferrato tutta la complessità della trama, però la sintesi è questa: un politico corrotto va a mignotte mentre la banda della magliana fa affari con la camorra e per questo un gruppo di zingari si prende a revolverate con un bellimbusto di Ostia fidanzato con una tossica che c’ha il vizio di sparare alla gente e però quanto cazzo abbaia quel dobermann.
A seguito di tutto ciò il Papa si dimette, e i soldi del Vaticano finiscono nei conti segreti del malandro di turno.
Ahò, io non c’ho capito un cazzo, andatelo a vede’ voi, magari ero stanco.

Giudizio della Critica
Ispirato ad un classico come “La Grande Bellezza”, il film avrebbe dovuto chiamarsi “La Grande Rete Fognaria”, ma poi la sintesi ha prevalso.
Nel ruolo dell’alter-ego di Jep Gambardella troviamo un grandissimo Pierfrancesco Favino, che pur in preda ad una paresi facciale da botulino riesce a riprendersi nelle scene di sesso, ma giusto quei due tre minuti che pure lui c’ha un’età.
Grande fotografia, grande regia, grande montaggio, ma due palle come due cocomeri.

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Le Grandi Recensioni di Rolandfan – The Martian di Ridley Scott con Matt Damon

Trama del Film
Ragazzi, questo film inizia alla grandissima!
Pensate, in un futuro prossimo una spedizione terrestre è su Marte per conoscere meglio il pianeta più vicino a noi, quando una tempesta improvvisa costringe i nostri ad una frenetica ritirata, lasciando sul campo il povero Matt Damon creduto morto ma che invece riesce a sopravvivere nonostante un’asta d’acciaio gli abbia trapassato tuta, maglioncino di cachemire, maglietta della salute e perizoma.
Dice: ma che è un film de fantascienza? Sì, stavolta sì quindi non rompete le palle.
Insomma il nostro eroe si salva per una botta de c…per un caso fortuito, e riesce a malapena a sigillarsi nella base spaziale, senza cibo e senza possibilità di comunicare.
A questo punto gli spettatori cominciano ad intonare in coro il riff del “Gladiatore” fregandosi le mani: minchia raga che filmone che ci aspetta!
Ed effettivamente i primi minuti sono densi di avvenimenti, mentre il nostro eroe impara a coltivare le patate senza terra e senza acqua (pare che la merda di astronauta sia miracolosa, voglio provare a vedere se mi fa ricrescere i capelli), ripara i sistemi di comunicazione, insomma si prepara a passare in santa pace quei due o tre anni che gli mancano prima che qualcuno lo venga a recuperare.
Ora, vedete, Marte è un’immensa distesa rossa: sabbia rossa, rocce rosse, montagne rosse, alberi rossi, oceani rossi…va bene ok alberi e oceani non ci stanno, ma ci siamo capiti.
E’ un posto freddissimo, dove non c’è nessuno.
Insomma, un astronauta che debba passare un paio d’anni da solo su Marte, inevitabilmente finisce per rompersi le palle, quindi il pubblico rimane in trepida attesa perché, vedrai, adesso c’è il colpo di scena.
Invece no.
Lui continua a mangiare le sue patate e a guidare il suo rover.
Dopo cento giorni la speranza di vedere Alien comincia a diventare concreta.
Dopo duecento giorni qualcuno comincia a sussurrare qualcosa riguardo a John Carpenter e “Fantasmi su Marte”, notoriamente il più brutto film mai girato dai tempi dei fratelli Lumiere.
Dopo trecento giorni tutto il pubblico concorda che “la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”
Al cinquecentesimo giorno senza che succeda nulla la rivolta è completa, al grido di “Oronzo Canà uno di noi!”
Come finisce il film non lo possiamo dire, eravamo intenti a distruggere le poltrone e a incendiare lo schermo.

Giudizio della Critica
Di tutti i documentari marchettari della Nasa sinceramente ci piaceva di più la serie con Morgan Freeman in onda su Discovery Channel: era più varia, e lui decisamente più simpatico.
Per il resto, uno dei pochi film in cui si vede patata dall’inizio alla fine ma non ti fa nessun effetto.
Ridley, dai retta a me: a Brighton c’è un bel residence vista mare, ma chi te lo fa fa’ de continua’ a fa’ ‘ste brutte figure?

The Martian

Le Grandi Recensioni di Rolandfan – Padri e Figlie di Gabriele Muccino con Russel Crowe

Trama del Film
Il titolo del film, sostituito solo all’ultimo momento per volere della produzione, era “Psicotici e Puttane”, ma vista la difficoltà di tradurlo in inglese in maniera accettabile, e temendo che la trama si svelasse troppo presto, a malincuore Muccino ha dovuto accettare un titolo alla Muccino, invece di uno alla Woody Allen.
Per ribellione, il Gabriele nazionale, er bomber de Cinecittà (per le dimensioni dell’addome, per lo più), ha deciso che se non poteva avere Woody Allen nel titolo avrebbe avuto Quentin Tarantino nel montaggio.
Purtroppo nessuno ha avuto il coraggio di spiegare a Muccino che sì, è vero che il montaggio dei film di Tarantino è inconsueto, ma alla fine lo spettatore esce con la certezza di aver capito come inizia, come prosegue, e come va a finire, anche se spesso la fine è all’inizio e così via.
insomma Tarantino è un po’ come Picasso, che ti faceva trovare la bocca al posto degli occhi, le tette sugli orecchi ma alla fine ti convincevi che stavi guardando una gran bella topa.
Invece si vede che nel mischione generale Muccino deve aver dimenticato qualcosa in sala montaggio: forse l’inizio, oppure la fine, oppure la parte centrale del film, o magari un po’ tutto.
Per cui ci perdonerete se la trama ci è rimasta un po’ oscura.
L’unica scena chiara del film è quando Russel Crowe spiaccica la moglie contro un tir, osannato dalla ola di tutta la parte maschile del pubblico, ma poi il resto è un po’ confuso.
Si tromba molto, questo sì, ma a casa del montaggio un po’ così non si capisce chi tromba con chi, quando, di chi è figlio, ma soprattutto ancora una volta rimane in sospeso l’eterno quesito: ma come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati?

Giudizio della Critica
Stavolta Muccino decide di spogliarsi completamente dei panni di regista di commediole romantico-giovanilistiche, e di vestire quelli di un moderno Frank Capra, cercando di strappare lacrime ad ogni fotogramma, senza purtroppo (per lui) riuscirci.
E cosa si inventa? un film newyorchese, una pellicola in cui non manca nessuno dei luoghi comuni dei film girati a New York: il giro in bici a Central Park, la vista delle Torri Gemelle (ah quando ci piace a noi l’accurata ricostruzione storica), le townhouse con le bici sul pianerottolo, gli innamorati che parlano nella vasca da bagno, il diaframma della cinepresa così aperto che anche le lucciole fanno palle da due metri sul fotogramma, la lezione di bicicletta rosa e la corsetta sul ponte di Brooklyn.
Ci fosse ancora la libreria Rizzoli di sicuro ci avrebbe piazzato una scena, magari con il cameo di Robert De Niro e Meril Streep in carrozzella ancora indecisi sul da farsi.
Manca, a essere proprio pignoli, la scena della pattinata sul ghiaccio al Rockefeller Center, e questo è stato subito notato dai principali critici cinematografici americani che volevano ritirare la tessera a Muccino per questa manchevolezza, ma poi hanno benevolmente soprasseduto perché il nostro grande (più che altro grosso) regista aveva sì girato la scena, ma l’aveva dovuta tagliare (come un sacco di altra roba supponiamo visto che non si capisce molto) per fare spazio all’unica vera scena mucciniana, un marchio di fabbrica direi: la scena in cui i due protagonisti si inseguono istericamente per tutta casa, seguiti da una camera rigorosamente a mano, per poi finire in mezzo alla strada a inseguirsi urlando come matti.
Se pensate di non voler andare a vedere questo film, e francamente non potremmo darvi torto, la scena mucciniana la potete anche vedere girata pure meglio a partire dal minuto 1:25 del link che segue.

Possiamo affermare infine che la godibilità di questo film è tale che se nell’altra sala avessero dato la retrospettiva di Oronzo Canà probabilmente avemmo assistito ad una transumanza senza precedenti.
A Muccì: ma du’ ripetizioni da Sorrentino no, eh!?



padri e figlie

Le Grandi Recensioni di Rolandfan – Jurassic World di Colin Treworrow con Bryce Dallas Howard

Trama del Film
Dunque, più o meno la storia è questa: su un’isola deserta al largo del Costarica, un ricco filantropo decide di impiantare un parco divertimenti basato su veri dinosauri…no, aspetta, questa è la trama del primo Jurassic Park. Allora vediamo, il parco è supertecnologico per permettere ai turisti di interagire con gli animali in tutta sicurezza, confidando su tecnologie avanzatissime che però ad un certo punto vanno in tilt e…un momento, non ci siamo, questa è la trama del secondo film. In questo film sono centrali nella storia dei bambini che si mettono nei guai e che devono essere salvati a tutti i costi perché sono parenti…aspetta aspetta! Ma questo è ancora il PRIMO film? Di che cazzo parla QUESTO film? Oh, ci sono: in questo film c’è un cattivone che vuole impadronirsi della tecnologia genetica e usare i dinosauri a proprio piacimento, e per fortuna che l’eroe di turno gli si oppone…vabbè ma questa praticamente è la trama di TUTTI i film precedenti! Non c’è niente di originale in questo cazzo di film? Sì. Qualcosa c’è. Alla fine la natura ha il sopravvento, la malvagità e la grettezza umana sono sconfitte, e i dinosauri si riprendono l’isola: primo piano del Tirannosaurus Rex che urla la sua gioia per dominare ancora una volta il suo territorio. Vabbè, lasciamo perde.

Giudizio della Critica
Non ci credo. Ho speso dieci euro per vederlo. No, avete letto bene. Non mi hanno dato LORO dieci euro. Glie li ho dati io. Come è stato possibile? A casa mia questo si chiama furto con destrezza. Li denuncio. A tutti. Compreso il Tirannosaurus Rex. Sto stronzo.

Jurassic World Locandina

Le Grandi Recensioni di Rolandfan – Se Dio Vuole di Edoardo Falcone

Trama
Oggi parliamo di un film religioso che probabilmente rimpiazzerà in tutte le cineteche parrocchiali l’ormai datato “Marcellino pane e vino”, che francamente ha rotto i coglioni anche alla CEI.
Per una giusta scelta di risparmio, il regista ha deciso di usare le stesse location di “La Grande Bellezza”.
Anzi, sospetto che abbiano girato in contemporanea per salvare qualcosa anche sulle maestranze.
Comunque in questa Roma Sorrentiniana, il bravo regista ha messo a confronto il Prof. Dott. Guido Terzilli e Don Camillo, visto che agli sceneggiatori non è venuto in mente niente di più originale, e poi si sa che i remake tirano sempre.
Sospettiamo che Peppone abbia fatto una brutta fine, ma d’altronde è da tempo che è stata dichiarata terminata la spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre.
E cosa c’è di più bello, romantico, commovente, di un brutalone anticlericale che alla fine si converte e vede tracce del signore in ogni dove?
Sì, lo so. Anche Christian De Sica.
Però per un momento abbandoniamo il cinismo e godiamoci i buoni sentimenti.
Anche perché il pericolo maggiore (un figlio gay o prete o tutte e due le cose) è stato sventato con una bella pomiciata in zona Cesarini.

Giudizio della Critica
Perfetti Giallini nel ruolo di Giallini, e Alessandro Gassman nel ruolo di Alessandro Gasman.
Laura Morante ha fatto la boccuccia imbronciata solo un centinaio di volte, si vede che la maturità le ha dato un tocco in più di espressività.
La parte del parente scemo è stata affidata ad un anonimo caratterista, perché pare che Pietro Sermonti fosse impegnato con la centesima replica di “Un medico in famiglia”, che da quest’anno si fonde con “Villa Arzilla” per motivi di budget e di età dei protagonisti.

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Le Grandi Recensioni di Rolandfan – Sei mai stata sulla luna? di Paolo Genovese

Trama del film
No, e non ci tengo neanche. Grazie.
Ecco, sarebbe bastata questa semplice risposta alla domanda del titolo per chiudere qua la faccenda.
Purtroppo, alcuni noiosissimi editori di siti che pubblicano le mie recensioni non si accontentano mai, e quindi cercherò di elaborare un po’ il concetto.
In una Milano da bere in cui anche i fruttivendoli di Quarto Oggiaro sono delle tope pazzesche, una supertopa alta otto chilometri di cui sei di gambe, chiaramente di estrazioni scandinave, con accento spagnolo e quarta di ordinanza, scopre di aver ereditata la masseria di famiglia a Nardò.
Già, perché ovviamente lei non è nata a Helsingborg, ma a Nardò, provincia di Lecce.
Peccato che Stanley Kubrick sia morto da tempo, altrimenti questa storia di luna sarebbe stato lo spunto adatto per il seguito di “2001 Odissea nello Spazio”, ma ormai come è noto ormai la fantascienza la praticano solo gli sceneggiatori italiani.
Ma andiamo avanti.
La giovane supertopa, accompagnata da una topa normale, la sua assistente, si reca in questa disastrata masseria dove tutti, ma proprio tutti, sono brutti ma simpatici: il cugino scemo, la bancaria, il barista tradizionale, il barista moderno, il notaio, il macellatio e financo il vaccaro.
Tutti, tranne lo spalatore di merda, che ovviamente è Raul Bova.
Come è noto in tutte le disastrate masserie pugliesi la merda la spala un culturista con gli occhi verdi.
Ma nulla sarebbe perfetto, come invece lo è in questo film, se il bellissimo merdaiolo non fosse vedovo con un figlio intelligentissimo che cerca di appioppare al papà una nuova moglie che faccia da madre a lui.
Ora fratelli, raccogliamoci un momento in preghiera, ed esaminiamo i nostri peccati.
Cerchiamo di scavare nel profondo della nostra anima, e chiediamoci: cosa abbiamo fatto di così tremendo nella nostra esistenza, da meritarci che in media un film su due che andiamo a vedere ha come protagonista un vedovo inconsolabile con bambino a carico che finalmente incontra la donna della sua vita dopo essersene scopate nel frattempo un paio di milioni?
In piedi.
Conclusione del film, pe’ gnente pe’ gnente scontata: la supertopa si mette col merdaiolo, il barista tradizionale con la topa normale, il barista moderno con la bancaria, e noi spettatori abbastanza grandi da aver visto Love Story al cinema non sappiamo darci pace di aver speso sette euro e mezzo pe’ sta boiata.

Giudizio della critica
Il film si regge su Raul Bova, diciamocelo chiaramente.
A dire il vero, tutto il cinema italiano si regge su Raul Bova, dato che il 90% dei film in uscita hanno lui come protagonista.
Nei prossimi mesi sono previsti: un giallo ambientato negli anni 70, protagonista Raul Bova; un film sulla diversità sessuale, Raul Bova in canotta e baffoni; remake de “La Ciociara”, con Raul Bova nei panni di Cesira; una puntata nuovissima della serie “Don Camillo e Peppone”, con Raul Bova nella parte di entrambi; “Raul Bova contro Godzilla”, “Raul Bova contro Maciste”, “Raul Bova contro Raul Bova”. Speriamo che in quest’ultimo film si annienti da solo e lasci spazio a qualcun altro. Anche senza muscoli, va bene lo stesso.

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Le Grandi Recensioni di Rolandfan – The Imitation Game di Morten Tyldum

Trama del Film
Durante la seconda guerra mondiale un gruppo di geniali matematici viene riunito un cottage di campagna, tra paesaggi silvani, pub e bici d’epoca, per cercare di decifrare le trasmissioni in codice dei tedeschi.
E mentre loro passano le giornate a risolvere Bartezzaghi, a Londra cadono più bombe che sul lungomare di Ostia, e poi dice che i militari stavano incazzati.
Il gruppo dei geniacci matematici è così composto:
– un gay che non lo deve sapere nessuno ma tanto lo sanno tutti
– una spia sovietica simpatica e cicciottosa
– un belloccio paraculo
– una bionda asessuata
– un paio di comprimari lacrimosi
Come contorno, una spia in gessato e un Ammiraglio costruito al computer per avere degli occhi a palla perfetti.
Alla fine, visto che il cruciverba non riuscivano a risolverlo, lo hanno fatto risolvere al computer, mentre loro amoreggiavano, chi con donne, chi con uomini, chi indeciso.
Se qualcuno pensa che si tratti di un film di guerra, o di matematica, può starsene a casa: è un film sui gay, qui rappresentati come dei teneroni Holly Hobbie.
Aridatece Freddie Mercury.

Giudizio della Critica
Almodovar e Ozpetek hanno declinato l’invito a girare il film.
Non perché non sappiano nulla di matematica o di guerra, ma proprio di omosessualità, visti i film insulsi che tirano fuori.
Alla fine il film è stato paracadutato nelle mani del carneade Morten Tyldum, che nella vita aveva un solo sogno: girare il seguito di Titanic.
E quasi ce l’ha fatta.



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Le Grandi Recensioni di Rolandfan – American Sniper di Clint Eastwood

Trama del Film
Purtroppo a Hollywood deve esserci stato uno sciopero degli attori, o un improvviso picco di lavoro, perché per questo film del buon Clint, non hanno trovato un professionista.
Pare George Clooney fosse ancora in luna di miele, Richard Gere non ce vede più e quindi a fare il tiratore scelto non sarebbe stato credibile, Robert de Niro è un po’ rincoglionito e pare che quando gli hanno chiesto di fare il film abbia risposto:”Dici a me, stronzo? Eh? dici a me?”
Alla fine la produzione disperata si è rivolta a tale Bradley Cooper, famoso soprattutto per gli occhi azzurri, espressivi come quelli di un toporagno.
Ora, il vero Chris Kyle era una specie di armadio di oltre cento chili, mentre Bradley Cooper uno scrocchiazeppi; questo vi fa capire quanto fossero disperati quelli della Warner Bros., ma dato che ormai avevano già anticipato un paio di milioni di dollari a Clint, hanno dovuto accontentarsi.
Peccato che commettendo un grave errore Clint abbia fatto vedere a Bradley una foto del vero Chris Kyle.
Il buon giuggiolone Bradley subito si è esaltato, e citando il metodo Stanislavskij, Greta Garbo e Toro Scatenato, ha deciso di prendere quaranta chili per essere più aderente al personaggio.
Ora, qualcuno dovrebbe spiegare all’attor giovine che se sei un padreterno E prendi quaranta chili come Robert de Niro, vinci l’Oscar.
Se sei una specie di mummia inespressiva E prendi quaranta chili, l’unica cosa che ti rimane è la panza.
Comunque, se volete sapere di che parla il film, è tutta ‘na storia lagnosissima di cecchini, e tanto per allungare il brodo ogni tanto le pallottole le rallentano pure, per farci gustare più a lungo il momento in cui gli attrezzisti lanciano il succo di pomodoro sul muro.

Giudizio della Critica
Nessuna persona di buon senso che abbia visto Black Hawk Down, Full Metal Jacket o Apocalipse Now dovrebbe andare a vedere questo film.
Tutti noi amiamo Clint Eastwood, è per questo che stiamo facendo una colletta per pagargli una stanza vista mare alla pensione Mariposa, a Santa Monica.
Così s’ariposa, e la smette di fare film, che è ora.

American sniper

Le Grandi Recensioni di Rolandfan – Big Hero 6 di Don Hall e Chris Williams

Trama del Film
Premessa, svolgimento e conclusione della trama sono frutto di un abile ma pesante saccheggiamento da idee precedenti, tanto che le ultime notizie danno gli sceneggiatori e i registi del film arrestati dalla Polizia di Burbank, California per riciclaggio.
Per stupirvi alle trovate di questo film, e magari spremere qualche lacrimuccia dagli appositi condotti, NON dovrete aver visto nell’ordine: Bambi, Pinocchio, Wall-E, Gli Incredibili.
Se purtroppo avete avuto la fortuna (fortuna?) di averli già visti tutti E siete anche dotati di una buona memoria, potrete divertirvi ad assegnare le varie parti del collage ai film originali.
Questo non ridurrà il tedio, ma almeno vi farà passare il tempo, e giustificherà il prezzo del biglietto (senza contare lo sconto da McDonald’s che si può trovare sul retro dello stesso).
Venendo alla storia, un giovane genio, orfano di padre e madre (ma non finisce qua), combatte una battaglia senza esclusione di colpi contro un supercattivone, aiutato da un robot cicciottone e pacioccoso, e quattro amici sfigatissimi ma correttamente distribuiti tra le varie etnie, che improvvisamente si scoprono supereroi.
Non vi posso dire se i buoni vincono e i cattivi perdono per non rovinarvi la trama, ma se siete sensibili armatevi di fazzoletti di carta.
Nel mio caso, sono stato previdente e ho portato il cuscino circolare gonfiabile che uso anche per dormire in aereo.

Giudizio della Critica
Sempre più stupefacenti effetti grafici, sempre più robottini tenerosi, sempre più cattivi strabilianti.
Ma la trama? Dove cazzo è finita la trama? Il mio regno per una storia decente.

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